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Presentato a Roma il nuovo contratto per i pubblici esercizi


A Roma, presso la sede di Confcommercio, si è tenuto il convegno Fipe su “La nuova identità del lavoro nel nuovo Ccnl pubblici esercizi, ristorazione e turismo” in cui è stato presentato il nuovo contratto dei pubblici esercizi firmato a febbraio tra Fipe, Angem e Legacoop Produzione e Servizi e Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil che riguarda un milione di addetti circa.

Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha sottolineato l’importanza di un contratto simile “in un clima di grande incertezza politica ed economica”. “Un contratto forte – ha aggiunto Sangalli – che tiene insieme associazione imprenditoriali e sindacati. Un contratto che si distingue differenziando e rafforzando l’identità del settore”.

Secondo il presidente nazionale Fipe, Lino Stoppani, “bisognava rispondere alle esigenze di competitività delle imprese e al benessere dei lavoratori”. “I sindacati – ha aggiunto Stoppani – hanno capito la particolarità del settore pur difendendo legittimamente l’interesse dei lavoratori e le imprese da parte loro hanno compreso l’importanza del contratto di lavoro. Siamo certi che le importanti innovazioni previste dal contratto, che garantiranno una maggiore flessibilità operativa, saranno la leva per favorire quel recupero di produttività necessario per sostenere gli investimenti migliorativi e lo sviluppo di un settore chiave dell’economia italiana”.

Il nuovo contratto ha un campo di applicazione che interessa oltre un milione di addetti di un settore dove operano più di 300 mila imprese, con un fatturato di oltre 80 miliardi di euro. Previsto un aumento in busta paga di 100 euro a regime, rafforzamento dell’assistenza sanitaria integrativa, durata quadriennale e innovazioni mirate al recupero della produttività. Nel corso del convegno è stato fatto poi il punto anche sulle criticità del settore che il nuovo contratto sarà chiamato a regolamentare, come la bassa produttività del lavoro (in diminuzione in media del 6% rispetto al 2009), l’abbassamento dei livelli qualitativi dell’offerta (molte aperture di basso profilo, con conseguente perdita di identità dei centri storici), i tassi di mortalità elevati (il 70% delle imprese cessa dopo 5 anni), l’abusivismo dilagante a causa dell’assenza di regole certe, i livelli di marginalità bassi non sufficienti a impostare piani di investimento.


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